Un tentativo che vale la pena fare

Come alcuni di voi sanno, ormai da qualche anno lavoro nell’ AG di una scuola pubblica. Gli AG sono Arbeitsgemeinschaften o gruppi di studio pomeridiani. La maggior parte delle scuole tedesche offre gruppi di studio (abbreviati in AG), che possono essere frequentati volontariamente dagli studenti, al di fuori delle lezioni obbligatorie. Gli AG possono essere organizzati per tutte le materie: musica, lingue straniere, sport, ecc.

Nel nostro gruppo ci sono una trentina di studenti nati in Germania, che hanno dai 6 ai 13 anni, di cui la maggior parte ha almeno un genitore tedesco. Il gruppo è eterogeneo, ci sono studenti della Grundschule, della Realschule e del Gymnasium. Quest’anno, insieme ad alcuni colleghi, che come me hanno un background culturale non tedesco, abbiamo deciso di affrontare un tema molto delicato ma importante: il razzismo e le discriminazioni.

Inizialmente abbiamo preparato dei questionari, ma ci siamo subito resi conto che non era possibile sottoporli semplicemente agli alunni. Sappiamo che nessuno di loro ha mai affrontato la materia STORIA, perché nella scuola pubblica non è prevista fino all’ottava o nona classe (o prima superiore in Italia). Inoltre la maggior parte non sapeva che cosa significassero i termini: Rassismus e Diskriminierung. Ci siamo consultati e abbiamo deciso di organizzare almeno un paio di incontri dove affrontare con gli alunni queste tematiche, prima di sottoporre il questionario.

Durante i due incontri della durata di un’oretta ciascuno, c’è stato un confronto aperto con domande e risposte. Per esempio, gli alunni più piccoli pensavano che si trattasse di tematiche comiche, mentre quelli più grandi si sono detti scettici in quanto, ci hanno spiegato: “Razzismo? Discriminazioni? Queste non sono materie previste dal nostro programma scolastico, pertanto non sono importanti. Dunque perché dovremmo parlarne?”. Bella domanda! Armati della calma dei forti, abbiamo spiegato agli alunni che spesso parlare di queste cose aiuta i ragazzi a dare un nome a situazioni e sensazioni spiacevoli. Qui in Germania, tutto quel che di spiacevole avviene nelle scuole tedesche – atti di prepotenza, discriminazioni, razzismo, bullismo, TUTTO – viene messo sotto il grande ombrello del MOBBING. Si cerca così di semplificare un mondo di emozioni e sensazioni, omologandole sotto un’unica parola, e questo ha delle conseguenze. Spesso gli studenti non sanno dare un nome a ciò che hanno visto o subìto, perché non hanno l’opportunità di discuterne con un adulto che li aiuti a capire meglio. Se sono fortunati, ne parlano in famiglia, ma anche questo non è scontato.

Qui, nella nostra scuola, gli studenti non hanno grandi opportunità di confrontarsi con i propri insegnanti, se non riguardo alla materia specifica del docente. Con l’insegnante di tedesco si parla di tedesco, con l’insegnante di francese si parla di francese e così via. Le ore sono scandite dai famosi 45 minuti e non sono previsti spazi di confronto su altro. La psicologa presente nella nostra scuola è chiamata ad intervenire nelle situazioni in cui, per esempio, un alunno chiede di ripetere l’anno, o serve un test cognitivo, o un’opinione, un timbro. Io la definisco una figura politica, perché ci deve essere, ma la sua utilità si può considerare marginale.

Appurato il fatto che nessuno sapeva spiegare il significato di Razzismo e Discriminazione, tra le risate degli alunni, abbiamo iniziato a leggere insieme la storia di Rosa Parks paladina dei diritti civili. Dopo di che, abbiamo guardato dei video dove si parlava del significato di discriminazione per razza. Naturalmente c’erano dei cenni sull’Olocausto, ma nessuno sapeva che cosa fosse. Noi abbiamo scelto di non approfondire, perché questi ragazzi non hanno alcuna base di storia e non volevamo traumatizzare nessuno. Alcuni di loro, quelli che arriveranno al diploma di scuola superiore probabilmente affronteranno l’argomento, altri, quelli che sceglieranno di fermarsi prima, forse non lo affronteranno mai. Ma questa è un’altra storia.

Al termine delle letture e dei video, le risate iniziali erano scomparse. E qui è ritornata la domanda: avete mai assistito ad atti di razzismo o discriminazione nella vostra scuola o per strada ? In quel momento qualche mano ha iniziato ad alzarsi. Poche mani, ma qualcuno timidamente ha voluto condividere situazioni come: “ho un’amica indiana che in classe viene presa in giro per il colore della sua pelle e io mi sento triste per lei” oppure “un mio compagno cinese fatica a parlare tedesco e tutti ridono di lui, questo mi fa sentire a disagio”. Al termine di questi due incontri abbiamo sottoposto i questionari ai bambini. Poche domande, brevi e chiare. Ciò che ne è emerso è che il novanta per cento di loro non aveva mai affrontato queste tematiche né a scuola né in famiglia. La maggior parte non erano poi così certi dell’importanza degli argomenti, in quanto non legati a dei voti e non presi in considerazione nel programma scolastico.

Ora, io sono consapevole che il nostro tentativo di sensibilizzare gli alunni su questi argomenti sia una goccia nel mare e i risultati dei questionari ce lo dicono chiaramente. Probabilmente la maggior parte degli studenti saranno tornati a casa pensando di aver perso del tempo in cui potevano fare altro. Resto dell’opinione che certe tematiche non possano essere rimandate all’età adulta o a scelte individuali. Siamo una società multiculturale e i nostri figli devono avere gli strumenti per comprendere l’unicità di ognuno.

A me resta la speranza che in qualcuno di loro si accessa una scintilla, che magari un giorno li porterà ad avere uno sguardo diverso sul mondo.

Lara G.

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