Il compito di un genitore è di essere la persona che riesce a vedere oltre la collina. James L. Hymes
Un pomeriggio come tanti di inizio febbraio, mi sono presentata al Kindergarten per prendere mio figlio, niente di strano se non fosse che mio figlio non c’era, era scomparso.
L’educatrice del gruppo che avrebbe dovuto tenerlo dalle tre alle quattro non lo aveva nemmeno visto entrare in classe, era convinta che mio figlio fosse già andato a casa. Ansia. La mia italianità ha raggiunto la superficie in pochi secondi, sono letteralmente sbiancata “Dov’è il mio bambino?”. Mentre le educatrici lo stavano cercando senza sosta, io sentivo la mia schiena sudare, mi tremavano le mani. Controllavano ovunque: stanze, armadietti, bagni, spogliatoi, sale nanna, niente non c’era. Quel giorno mio marito era all’estero per lavoro e io non mi sono mai sentita così sola. All’improvviso una faccina è spuntata timidamente da una tenda, l’enorme tenda della Traum Zimmer cioè la Stanza dei Sogni. Era lui, il mio bambino. Un po’ assonnato quasi intimidito. Le educatrici si sono precipitate verso di lui: “Gott sei dank!” cioè grazie a dio continuavano a ripetere, io ero agitata e loro lo hanno subito redarguito: “Piccolo uomo la prossima volta che vuoi rimanere da solo, devi prima dircelo così non ci preoccupiamo, hai capito bene?”, e lui “Ja ok”. Poi è corso ad abbracciarmi.
Cioè mi state dicendo che un bambino di tre anni può scegliere di stare da solo?
Il mattino successivo ore 7:30 ero nell’ufficio della preside, la quale per sua grande fortuna era a casa in malattia. Lo scrivo perché per sbollire l’agitazione ci sono voluti diversi giorni, e forse è stato meglio così perché avevo la lucidità di un gatto nell’acqua. Insomma il tempo di calmarsi, la Chefin è guarita e oggi ci siamo presentati nel suo ufficio, mit Termin naturalmente.
La preside ci ha ricevuti nella stanza dei colloqui, un salone di divani e cuscinoni dai colori tenui e rilassanti. Dopo esserci accertati della sua guarigione, le abbiamo esposto con tutta calma quello che ci era capitato. Lei era sinceramente mortificata, ha sottolineato più volte che la responsabilità dell’intero istituto è principalmente sua, e la sua priorità sarà quella di cambiare i metodi dei “cambi gruppo” per evitare altri spiacevoli incidenti. Ma veniamo al punto saliente. Le ho riferito quanto detto dall’educatrice a mio figlio dopo averlo ritrovato: “Preside ma è normale che un bambino di tre anni e mezzo possa scegliere di stare da solo? Ammetto che per noi genitori italiani è un concetto davvero difficile da digerire.” Lei con tutta serenità ci ha guardati negli occhi e ci ha detto:
“Si, un bambino può scegliere di stare da solo, perché è un suo diritto.”
Poi ha continuato: “E’ giusto però che io vi chiarisca meglio che cosa intendo per diritto di stare solo. Cercare la solitudine per rilassarsi è una parte importante del processo di crescita. I bambini a volte sono stanchi, stressati ed, esattamente come noi adulti, sentono il bisogno di stare da soli. Nel nostro istituto questo è possibile perché abbiamo diversi spazi dove i bambini possono scegliere di stare, non per forza in mezzo al rumore di un gruppo. L’educatrice deve acconsentire al desiderio del bambino, e ha, di conseguenza, l’obbligo di sorvegliarlo regolarmente, insomma deve rispettare il suo voler stare da solo. Chiaramente deve averlo sott’occhio per poter intervenire in caso di necessità. Pertanto è normale che abbia detto a suo figlio che avrebbe dovuto avvisare, anche se in questo caso mi sembra chiaro si sia trattato di un’incomprensione tra educatrici durante il passaggio di consegne. Avete fatto benissimo a venire da me perché farò il possibile perché questo episodio resti un caso isolato, sono davvero mortificata. Vi ringrazio moltissimo per non averci detto che non vi fidate più di noi, perché per noi la vostra fiducia è importantissima.”
Per me e mio marito è davvero dura comprendere tutti questi aspetti della cultura tedesca. Sono quasi tre anni che viviamo qui, ed oggi abbiamo scoperto il diritto alla solitudine. In Italia avrei fatto una scenata? Forse si, ma vivere qui mi ha molto cambiata, ho capito che nella vita si possono vedere le stesse cose da punti di vista completamente diversi, anzi forse questa è l’unica strada per vivere immersi in una cultura così distante dalla nostra. Noi vogliamo considerare questo nostro continuo imparare come parte del nostro processo di crescita come genitori, ma ogni tanto ci chiediamo: Quando smette di crescere un genitore? Forse mai…

Cara Lara, un genitore, indipendentemente dalla nazione in cui cresce suo figlio, non smette mai di imparare ed è questo il bello di questa avventura. Inoltre, non appena ti abitui (se ti abitui) tuo figlio cresce, ti scombina le carte in tavola, e tu devi ricominciare da capo. Detto questo, al di là dell’incidente (per il quale io pure avrei perso 10 anni di vita) che bell’asilo. In Italia, con il cavolo che tuo figlio ha il diritto di essere stanco quando vuole o di non essere stanco quando vuole lui. Io ho combattuto molto affinchè Tommaso avesse il diritto di non fare il riposino..
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Si è così, non ci si può sedere un attimo che subito bisogna rialzarsi e correre come topolini
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Non c’entra niente, ma la voglia di contatto e compagnia che hanno i latini e la solitudine grigia mia da settentrionale mi sono venute in mente leggendo questo post. Anche io voglio il diritto alla solitudine! Mio marito non lo concepisce, lo chiama “una malattia mia perché sono cresciuta in una caverna milanese”. Promette di guarirmi… sono passati quasi dieci anni e ancora non c’è riuscito.
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Io ho abitato a lungo da sola e conservo un bel ricordo di quei periodi. Io amo la solitudine, amo stare con me stessa, è rigenerante
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Ma poi qualcuno ha chiesto a Fulvio se davvero volesse stare solo? Magari si è perso giocando a nascondino.
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